“Se non paghi per il prodotto, il prodotto sei tu”. The Social Dilemma inizia con una verità che ormai, dopo l’esplosione dei social network, dovrebbe essere più che assodata. Nel documentario Netflix, il social dilemma è l’idea che poche big tech mondiali (come Google e Facebook) possono influenzare il comportamento di miliardi di persone, catturando la loro attenzione per vendere le inserzioni pubblicitarie. Un tema difficile, delicato ma che nel documentario prende toni sensazionalistici per far leva sugli utenti, risultando a tratti poco credibile ed esagerato.
Il documentario Netflix The Social Dilemma si sviluppa in diverse interviste con gli ex addetti ai lavori di Google, Facebook & Co. che raccontano come nascono gli algoritmi social che ci tengono incollati allo schermo. Nel documentario l’algoritmo è impersonificato da tre Avatar virtuali, in stile “Inside Out” della Pixar, che muovono l’utente come fosse una marionetta. Una sorta di Grande Fratello subdolo, che muove i nostri fili riducendoci ad essere un elemento di calcolo di una super Intelligenza Artificiale, senza il libero arbitrio.
Ogni media deve intercettare l’attenzione della propria audience per vivere. Senza la pubblicità nessun modello di business sarebbe sostenibile se non tramite un canone a pagamento, come per esempio l’abbonamento di Netflix.
Dal punto di vista storico il primo “social media” a puntare all’attenzione delle persone è stata la stampa. Diversi dittatori, come Hitler e Mussolini, hanno capito il giochino prima di altri e hanno utilizzato radio, giornali e cinema per i propri scopi, deviando la realtà e plasmando le masse come molti politici oggi. Pensate che l’invasione della Polonia fu legittimata da una fake news messa in giro proprio dai nazisti.
Pensiamo alla nascita della tv commerciale in Italia. Negli anni Ottanta e Novanta, programmi come “Drive In” o “Non è la Rai” suggeriscono un’idea di bellezza irreale, come oggi fanno i social network. The Social Dilemma non accenna minimamente al fatto che ogni media, passato, presente e futuro, cerca l’attenzione delle persone per sostenere il proprio modello di business (la pubblicità).
I social network quindi non sono nient’altro che un’evoluzione dei vecchi media, sia nei modi sia nel business. Anche al supermercato troviamo la merce disposta secondo certi criteri e sapete perché? Sempre per lo stesso motivo: influenzare il consumatore.
Perché quindi demonizzare solo i social?
Perché non dare soluzioni concrete se non il “cancellare l’account”?
Non sarebbe meglio un uso consapevole e responsabile delle reti sociali e quindi un’alfabetizzazione digitale per gli utenti medi?
Partiamo dagli addetti ai lavori presenti nel documentario Netflix The Social Dilemma. È difficile che l’inventore del Like di Facebook o il designer dell’interfaccia di Gmail dicano tutta la verità sugli algoritmi. Di solito si firmano dei patti di non divulgazione delle informazioni, inoltre difficilmente questi professionisti potrebbero continuare a lavorare in quel mondo dopo aver divulgato alcune notizie. Non a caso queste personalità indicano dei problemi che già conosciamo ampiamente, senza svelare nessun segreto e soprattutto senza dare soluzione se non quella di cancellarci.
The Social Dilemma esprime l’idea che il feed dei social condiziona i nostri comportamenti, ma è vero anche il contrario. Ecco un esempio: probabilmente non ti sei fatto crescere i capelli perché continui a vedere inserzioni sui prodotti per i capelli, ma continui a vedere le inserzioni su prodotti per i capelli perché hai i capelli lunghi.
Il dilemma etico esiste perché pochi gruppi al mondo riescono a condizionare il comportamento di miliardi di persone, la questione è seria e va affrontata in un certo modo. The Social Dilemma risulta superficiale e allarmistico sotto alcuni punti di vista, ed è prodotto da una della società più potenti al mondo, Netflix, che ci profila in continuazione e che cerca di tenerci incollati allo schermo per lo streaming. Ricordiamo che il binge watching, che consiste nel guardare film o serie senza sosta, è stato un fenomeno nato proprio da Netflix.
Curiosità: “Storia di Netflix: da un VHS consegnato in ritardo alla conquista del mondo”
Il problema non è mai nell’invenzione in sé ma nell’utilizzo che l’uomo ne fa. I social hanno permesso di connetterci con il mondo come nessun media era mai riuscito a fare, inoltre hanno creato nuove categorie professionali prima inesistenti.
Il tracciamento degli utenti, sempre autorizzato dagli stessi, ha permesso di avere servizi gratuiti come Facebook, Gmail, Google Drive e hanno migliorato la nostra esperienza online, ad esempio proponendoci prodotti in linea con i nostri interessi.
Se sei interessato leggi anche: “Italiani e Social Media 2020: abitudini, trend e acquisti secondo Blogmeter”
Alla fine è solo pubblicità, la stessa che c’è in radio, sui giornali, in televisione con meccanismi di profilazione dell’audience simili, solo più precisi grazie al web. I social devono essere utilizzati in maniera responsabile e tramite il nostro arbitrio, la “colpa” è sempre dell’uomo e mai del mezzo.
Concludendo, se hai visto The Social Dilemma probabilmente ti è stato suggerito da un algoritmo simile a quello che viene demonizzato. Il documentario, dopo tutte le belle parole e i suggerimenti per non cliccare sui video consigliati da YouTube, termina con i consigliati di Netflix…